Elenco blog personale

venerdì 31 ottobre 2014

Libriamoci

Qualche riflessione in margine dell’iniziativa “Libriamoci” alla quale abbiamo partecipato con tutte le nostre scuole primarie e secondarie. Il dettaglio lo troverete sul nostro profilo Facebook. Ci è sembrato importante sfruttare quest’occasione perché il tema della lettura costituisce uno degli assi portanti del nostro Piano dell’Offerta Formativa: abbiamo delle bellissime e fornitissime biblioteche curate amorevolmente dai docenti, biblioteche che sono pensate per essere un luogo in cui sperimentare davvero il piacere della lettura.

Vorrei iniziare le mie riflessioni da un articolo di Rosa Tiziana Bruno, comparso sulla rivista on-line Education 2.0. L’articolo, dal titolo “Pane e libri: il progresso viene dalla lettura” è significativo perché compare su di una rivista che si occupa prevalentemente di metodologie didattiche innovative e di nuove tecnologie. Il tema di fondo dell’articolo è che la lettura è un’ottima ginnastica del cervello. Mi si consenta una lunga citazione:

“Da sempre si discute dei grandi benefici della lettura, ma è davvero indispensabile leggere?  In fondo, diciamolo, nessuno è mai morto per mancanza di lettura anche perché i libri non si mangiano. Si vive benissimo senza, al massimo, per curiosità, si può provare a sfogliare un romanzo di tanto in tanto. Uno all’anno è più che sufficiente. Meglio sviluppare abilità digitali, dedicarsi all’apprendimento di un mestiere, spendere tempo a imparare cose pratiche e concrete.
È così che sembrano pensarla gli Italiani, da quanto ci rivelano le statistiche. Siamo un popolo che legge pochissimo. Eppure, voci autorevoli sostengono che la lettura sia un’attività fondamentale per crescere e per affermarsi nella vita. 
[…] gli studiosi di neuroscienze ribadiscono: Niente lettura, niente successo. 
A loro si uniscono gli esperti di marketing, i biologi, gli psicologi, i pediatri, i sociologi. Insomma, dal mondo accademico sembra sollevarsi una voce unanime: leggere fa bene. Qualcuno propone perfino che la lettura diventi una vera e propria disciplina da approfondire tra i banchi di scuola. Si sta esagerando? 
Per capirlo proviamo a scoprire cosa succede alla nostra mente e alla nostra personalità quando leggiamo. Pare che durante la lettura il cervello si concentri per 500 millisecondi su ogni parola, al fine di recuperare il nostro sapere relativo a quel termine. Un impulso raggiunge la corteccia e attiva tantissimi neuroni. In pratica le parole sono come gli oggetti, però mentre un oggetto viene percepito nella sua entità, le parole vengono invece elaborate come simboli collegati a un’idea. Ma non è tutto: in pochi millisecondi la parola viene valutata anche sul piano emotivo. L’emozione contribuisce a stimolare i processi di comprensione e questo spiega le ragioni per cui un romanzo, una fiaba, un racconto, hanno una resa potente sulla percezione.  Chi legge elabora interpretazioni e prova emozioni connesse a quel che legge e la lettura diventa ginnastica per il cervello, in grado di accrescerne la potenza. Inoltre, leggendo conosciamo anche le aspettative di progresso dell’umanità e la lettura diventa, così, l’esperienza determinante per la formazione della civiltà e per la conoscenza della realtà sociale.
Recentemente, i neurobiologi dell’Università di Stanford hanno accertato che leggere migliora lo sviluppo cognitivo. Al contempo, il neuroscienziato Gregory Berns ha dimostrato che la lettura provoca effetti duraturi nelle regioni del cervello responsabili del linguaggio, della creatività e delle rappresentazioni sensoriali. Una buona lettura, dunque, non solo riesce a stimolare il pensiero, ma può indurre perfino cambiamenti biologici positivi. 
Gli studiosi però avvertono: i cambiamenti non avvengano semplicemente leggendo i libri, tutto dipende da come si legge. La lettura disordinata, ad esempio, carica il cervello d’informazioni difficili da codificare. Solo il saper leggere influisce sulla reattività del cervello. 
Bisogna dunque imparare a leggere in modo corretto per trarne utilità, altrimenti si rischia di diventare più simili a una macchina che ad un essere Umano, come ripeteva Garcìa Lorca.  Appare evidente che se per tutti noi è necessario mangiare, è altrettanto indispensabile leggere.”

Non si può, leggendo queste pagine, fare a meno di pensare al bellissimo libro di Maryanne Wolf, Proust e il calamaro, testo forse di non sempre agevole lettura ma che illustra in maniera splendida come il leggere non sia un’attitudine naturale dell’uomo, ma una sua invenzione, forse la più geniale. La lettura può essere appresa solo grazie all’innata plasticità del nostro cervello - afferma Maryanne Wolf - ma appena una persona impara a leggere, il suo cervello cambia per sempre, sia fisiologicamente sia intellettualmenteNon saper leggere o leggere poco e male, dunque, non ci priva solo di un accesso fondamentale al sapere ma anche di una importante possibilità di sviluppo neuronale e cognitivo.

Per questo è importante che i bambini e i ragazzi leggano, che leggano tanto e bene, che coltivino il piacere e il gusto della lettura. La scuola, perciò, non può non avere tra le sue finalità educative fondamentali quella dell’educazione alla lettura. Cerchiamo di ricordarcene ogni tanto, fronteggiando quel “colonialismo coloniale” che vede il progresso e l’innovazione solo nelle nuove tecnologie digitali.


sabato 25 ottobre 2014

Un mestiere faticoso

Ritornando sul documento “La buona scuola” vorrei dedicare qualche riflessione al ruolo del dirigente scolastico.
In effetti il documento riconosce al dirigente scolastico una funzione molto importante. Se ne valorizzano, infatti, le competenze connesse alla promozione della didattica e della qualità dell’offerta formativa, attribuendogli così una leadership educativa che appare indispensabile al conseguimento delle finalità del Piano dell’Offerta Formativa. D’altro canto, però, si insiste molto anche sul secondo gruppo di competenze del dirigente scolastico che concerne  l’organizzazione  del lavoro all’interno della scuola, la guida del piano di miglioramento, i rapporti con il territorio, la quotidiana gestione amministrativa e finanziaria. Si tratta di una figura che deve rivestire perciò, allo stesso tempo, una funzione di leader ed una di manager. Si tratta quindi di un dirigente in qualche misura “atipico” rispetto alle altre dirigenze pubbliche perché non deve e non può limitarsi solo a far funzionare l’istituto che dirige, ma ha anche il compito di promuovere la costruzione dell’identità educativa della comunità scolastica.
Ed è proprio il dover far fronte a queste due diverse componenti della propria dimensione professionale che rende, oggi, molto difficile e faticoso il lavoro del dirigente scolastico.
Angelo Paletta, uno dei più acuti studiosi del nostro sistema scolastico, ci ha fatto capire come proprio lo stile di leadership del dirigente scolastico costituisca una variabile fondamentale rispetto ai risultati di apprendimento degli alunni che, è bene ricordarlo, rappresenta l’obiettivo primario di una scuola. Ma afferma lo stesso studioso: “nella realtà operativa, contingenti e più stringenti responsabilità amministrative assorbono di fatto la maggior parte del tempo e delle energie intellettuali dei dirigenti scolastici. Questa dimensione burocratica del lavoro del dirigente scolastico investe una varietà frammentata di compiti e di funzioni (osservanza delle regole poste a tutela della salute, della sicurezza, della privacy e della trasparenza amministrativa, irrogazione di sanzioni disciplinari, rapporti con tutti i soggetti che entrano in rapporto con la comunità scolastica, ecc.) alcune delle quali per la gravità delle loro competenze e per la pressione degli stakeholder, schiacciano il dirigente su routine burocratiche, talvolta necessarie, ma con un effetto di spiazzamento rispetto ad un profilo di leadership educativa non adeguatamente valorizzato” (Leadership, in Voci della scuola n. 6 / 2014, pag. 50).
Ma oggi, con l’accresciuta complessità degli istituti che dirigiamo (tanti alunni, tanti plessi, tanti ordini e gradi di scuola …) che si è venuta ad accompagnare ad una ingente diminuzione delle risorse materiali, finanziarie ed umane, è diventato ancora più difficile e faticoso gestire la scuola. Un esempio tra tanti: il considerevole taglio del FIS (Fondo dell’Istituzione Scolastica) ha molto complicato la scelta e la valorizzazione del personale incaricato del middle management, vale a dire di quelle figure di sistema quali il collaboratore vicario, il responsabile di plesso, la funzione strumentale, ecc. che sono indispensabili alla gestione di una realtà complessa come quella delle attuali istituzioni scolastiche.

Sono convinto che una forte leadership educativa sia indispensabile alla scuola e che questa dimensione della professionalità del dirigente scolastico non possa e non debba essere trascurata. Come ci ha indicato qualche anno fa Thomas Sergiovanni, richiede comunque una presenza costante, un continuo lavoro di cura ed attenzione degli aspetti pedagogici, didattici, metodologici grazie ai quali è possibile per il dirigente scolastico contribuire alla costruzione di una comunità educativa. Ma per poterlo fare si è costretti a delle vere acrobazie, a dei veri e propri tour de force per non venire risucchiati dal continuo vortice degli adempimenti amministrativi e burocratici. E questo, vi garantisco, rende molto faticoso il nostro lavoro.

giovedì 23 ottobre 2014

Fare innovazione in collaborazione con l’università: due nostri progetti


I rapporti tra il mondo dell’università e quello della scuola non sempre sono stati facili. Parlano due linguaggi diversi, seguono due logiche differenti ma hanno necessità di dialogare perché hanno bisogno l’una dell’altra. L’università ha bisogno della scuola perché i suoi studenti, per formarsi adeguatamente, devono svolgere dei tirocini e delle ricerche all’interno di contesti educativi reali e non solo di laboratorio; la scuola ha bisogno dell’università per acquisire conoscenze e competenze nuove. Se il rapporto tra le due non funziona non si produce innovazione: quanto viene elaborato dalla ricerca educativa e didattica nell’ambito dell’università non penetra nella pratica educativa quotidiana, resta confinato nei libri, negli articoli delle riviste specializzate o negli atti dei convegni. Eppure c’è un forte bisogno di innovazione, di cambiamento cioè che non si limiti solo a poche esperienze emblematiche ma incida sul concreto fare scuola: i processi sociali e culturali cui assistiamo in questi ultimi anni spingono continuamente il mondo della scuola ad aggiornarsi per poter affrontare adeguatamente le nuove sfide educative che gli vengono poste.
Nella nostra scuola abbiamo avviato due percorsi di collaborazione con l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti che stanno fornendo ottimi frutti e che, ritengo, possano produrre innovazione.
Si tratta del progetto 0 -6 e della ricerca sul modello RTI.
Il primo progetto consiste nella realizzazione di un progetto di continuità tra le operatrici dei nidi di Chieti e le docenti delle scuola dell’infanzia del nostro istituto comprensivo. Il progetto è stato “curato” (in maniera esperta e amorevole, in verità) dalla prof.ssa Rosy Nardone, ricercatrice in Didattica e Pedagogia Speciale presso il Dipartimento di Scienze Filosofiche, Pedagogiche ed Economiche. In margine al progetto è stato tenuto anche un convegno nel corso del mese di maggio. Potete trovare maggiori informazioni su questo progetto, che proseguirà anche nel corrente anno scolastico, leggendo l’articolo che gli ha dedicato la rivista “Bambini Cittadini”. Ho una grande considerazione di questa attività e la ritengo tra i più importanti del nostro Piano dell’Offerta Formativa perché credo che troppo spesso la Scuola dell’Infanzia venga considerata solo una forma di cura ed assistenza dei bambini senza una vera e propria funzione educativa e di conseguenza come un semplice gradino preparatorio alla Scuola Primaria. La continuità con il nido, invece, ritengo che aiuti a riconsiderare le dimensioni proprie di questo fondamentale elemento del nostro sistema formativo che ha proprio, nelle esperienze 0-6 anni, i suoi “fiori all’occhiello” che tutto il mondo ci invidia.
Il secondo progetto (RTI Abruzzo) riguarda la Scuola Primaria ed è anch’esso al suo secondo anno di svolgimento. In questo caso la collaborazione è con il Dipartimento di Neuroscienze, Imaging e Scienze Cliniche. RTI Abruzzo, al quale partecipano, oltre la nostra scuola, anche alcuni istituti comprensivi della provincia di Pescara, ha come finalità quello di sperimentare modalità di identificazione e di intervento precoce sulle difficoltà di lettura secondo, appunto, la metodologia RTI. Anche su questo progetto è stato tenuto un convegno lo scorso 11 ottobre presso l’Università “G. d’Annunzio” di Chieti, convegno di cui potrete trovare qualche documentazione sul sito dell’ateneo. Sono due gli aspetti che mi preme di sottolineare di questo progetto. Il primo è che prevede una stretta, strettissima collaborazione tra i docenti e i ricercatori universitari nella preparazione dei materiali da utilizzare con i bambini, nell’utilizzo degli stessi, nella valutazione dei risultati delle prove di verifica. Questo consente davvero di condividere appieno tutto il percorso di ricerca. Il secondo aspetto è costituito dalla logica stessa del metodo RTI (Response To Intervention): non si tratta di effettuare un semplice screening individuando e segnalando i bambini a rischio di dislessia per avviarli ai servizi per un’eventuale diagnosi e successivo trattamento logopedico. Il progetto prevede, piuttosto, un intervento curricolare didatticamente molto “ricco” per tutti i bambini e, successivamente, per quelli che incontrano difficoltà, due successivi interventi specifici di potenziamento per piccoli gruppi prima e individualizzato poi al fine di consentire il recupero. Si tratta, in effetti, di un sapiente utilizzo del principio didattico della speciale normalità secondo il quale viene sempre e comunque prima l’intervento curricolare ordinario, ricco di stimoli per tutti i bambini e solo dopo, in caso di difficoltà, l’intervento speciale. Il progetto, che costituisce parte integrante del nostro Piano dell’Offerta Formativa, coinvolgerà anche i bambini della Scuola dell’Infanzia rispetto alle abilità di pre-grafismo.
Credo proprio che questi progetti ci aiutino a costruire una scuola innovativa.

domenica 19 ottobre 2014

La festa dell'accoglienza nella Scuola dell'Infanzia

Qualche insegnante della Scuola dell’Infanzia mi ha fatto rilevare come anche nelle loro scuole si svolgano attività di accoglienza e come me ne fossi dimenticato nel mio post del giorno 12 ottobre.
In realtà non mi sono dimenticato delle tre scuole dell’Infanzia del nostro comprensivo (Selvaiezzi, Villaggio Celdit e Madonna delle Piane): vorrei piuttosto parlarne in maniera specifica in questo post.
Anche qui l’occasione è l’accoglienza che, naturalmente, si è svolta anche in questi plessi. C’è un aspetto, però, di queste attività che le differenzia un po’ rispetto a quelle analoghe della scuola primaria. Si tratta della organizzazione della festa. 
Chiunque si avvicini al mondo della Scuola dell’Infanzia rimane molto colpito dalla grande attenzione che viene posta dall’organizzazione dell’ambiente di apprendimento. Le docenti di queste scuole hanno la convinzione – validata da anni di esperienza sul campo e da ricerche sperimentali – che il contesto nel quale il bambino opera costituisce un elemento decisivo per la riuscita del suo apprendimento. Ma da cosa è costituito il contesto di apprendimento? Innanzitutto dall’organizzazione degli spazi: il bambino deve trovare in essi un supporto allo svolgimento delle varie attività. La cura attentissima che le insegnanti pongono alla disposizione degli arredi (disposizione che realizzano con la maestria di veri e propri “architetti dell’educazione”) è proprio finalizzata ad aiutare i bambini a riconoscere e strutturare l’attività: c’è lo spazio per disegnare, quello per giocare, quello per rilassarsi, quello per mangiare, quello per discu
tere assieme, ecc. Lo spazio come contenitore che accoglie, guida, il bambino nel suo apprendimento. Ma anche il tempo svolge un ruolo altrettanto importante: la strutturazione ordinata della giornata è un altro importantissimo e determinante contenitore dell’ambiente di apprendimento.
Ci sarebbero poi le relazioni (tra i bambini e le insegnanti e tra i bambini) che costituiscono a loro volta un altro elemento fondamentale – ci sarebbe molto da dire in proposito ma non me ne occuperò oggi.
C’è, infine, un ultimo elemento dell’ambiente di apprendimento, meno noto ai non esperti che a mio parere costituisce una delle principali caratteristiche della Scuola dell’Infanzia. Si tratta dello sfondo integratore, vale a dire della creazione di narrazioni che hanno lo scopo di favorire una percezione condivisa della situazione e di facilitare, attraverso l'elaborazione di significati condivisi, i processi comunicativi fra il gruppo di bambini e fra questi e gli adulti . L’attività che il bambino svolge è parte cioè di una storia che lo aiuta trovarne il significato e a condividerlo con gli altri. Le docenti dell’Infanzia sono bravissime a creare, narrare, rappresentare, cantare queste storie che aiutano tantissimo i bambini nel loro percorso di apprendimento.
Una di queste storie è, appunto, la festa dell’accoglienza che, con la sua strutturazione e ritualità rappresenta per i bambini dell’Infanzia un momento formativo formidabile. E per me è sempre un piacere parteciparvi per scoprire, ogni volta, cosa hanno inventato di nuovo le docenti.
E mi diverto sempre tanto. Grazie maestre!!

venerdì 17 ottobre 2014

Adolescenti digitali

In una puntata di Fahrenheit si discute su di un tema di sicuro interesse soprattutto per gli educatori: quali modifiche sul nostro cervello produce l’utilizzo massiccio delle tecnologie digitali? Lo spunto per la discussione è la pubblicazione di un articolo di Antonello Guerrera “Imparare al tempo del web” il quale, a sua volta, commenta una pubblicazione del saggista americano  Nicholas Carr “The Glass Cage”. Carr già in passato si era occupato di questi temi in particolare con un saggio, tradotto in italiano nel 2011, dal titolo “Internet ci rende stupidi?”. Il nostro cervello, come è noto, è caratterizzato da una notevole dose di plasticità per cui le esperienze che viviamo ne possono modificare profondamente la struttura. Le tecnologie digitali, in particolare, inibiscono o danneggiano secondo Carr alcune fondamentali facoltà cerebrali e cognitive quali la memoria (perché perdere tempo a memorizzare dati e nozioni sempre disponibili in rete?) e l’attenzione (con il multitasking ci occupiamo contemporaneamente di più cose e di tutte, però, in maniera superficiale).
La questione relativa alle modifiche che l’utilizzo di una nuova tecnologia introduce nel nostro cervello, in realtà, non è assolutamente nuova. Se ne era occupato addirittura Platone che, nel V sec. a. C., aveva fatto criticare da Socrate l’introduzione della scrittura che, a suo parere, avrebbe comportato la fine della capacità di memorizzazione le informazioni da parte degli uomini. Avendo a disposizione un supporto materiale su cui trattenere le grandi narrazioni, i grandi pensieri, i grandi discorsi l'umanità non avrebbe più esercitato la funzione della memoria che si sarebbe ben presto inaridita. In realtà le osservazioni di Platone, come hanno già da tempo messo in rilievo gli storici della filosofia antica, sono frutto di quel grande cambiamento culturale che avveniva in quegli anni nel mondo mediterraneo e che segnava il passaggio dalla cultura orale alla civiltà della scrittura.
La puntata di Fahrenheit si occupa di questo tema avendo una particolare attenzione rivolta all’apprendimento ed alla scuola con gli interventi di due dei maggiori esperti italiani: Giuseppe Riva e Paolo Ferri.
In effetti sono numerosi gli aspetti toccati dalla trasmissione che invito sicuramente a scaricare ed ascoltare. Credo cha di alcuni di essi parlerò anche in altri post di questo blog.
Oggi, però, vorrei soffermarmi principalmente su di una questione: quali evidenze scientifiche e sperimentali abbiamo delle conseguenze sul nostro cervello dell’uso delle tecnologie digitali? Qui ci viene in soccorso di una serissima ricerca pubblicata nel 2013 dall’Academié des sciences dal titolo: “L’enfant et les écrans (“Il bambino e gli schermi”). La ricerca – interessantissima e ricca di indicazioni per educatori, genitori ed insegnanti – afferma che i media digitali effettivamente modificano la nostra mente e che quindi i “nativi digitali” (i bambini e le bambine cioè nati in un’epoca in cui le tecnologie digitali sono pervasive) hanno una struttura mentale diversa rispetto a quella di chi, come noi adulti, pur vivendo immersi in questi nuovi media, ci siamo formati in un’epoca nella quale gli strumenti di informazione e comunicazione erano altri e si basavano soprattutto sul testo scritto. Questa vera e propria rivoluzione ha prodotto sulla mente effetti positivi e negativi. “Tra gli effetti positivi c’è lo stimolo all’atteggiamento deduttivo. Vale a dire che il bambino impara a dedurre i concetti, dalle immagini, attraverso un ragionamento logico. Partendo da una premessa, giunge a conclusioni razionali, ovvero sviluppa la capacità di stabilire correlazioni e perfino di ipotizzare delle previsioni. Gli schermi digitali, dunque, risultano essere un buon allenamento per la logica. Ovviamente, nel ragionamento deduttivo, le leggi di riferimento da cui si parte sono basilari: basta che una sola di esse sia inverificata o inverificabile e tutto crolla. Tra gli effetti negativi, invece, c’è una mortificazione del ragionamento di tipo induttivo, ovvero quello che poggia sulla capacità di osservare fatti e informazioni per formulare ipotesi. Basilari, per il ragionamento induttivo, sono l’osservazione, la capacità di ricerca e di esplorazione, nonché l’inventiva personale. Se il ragionamento induttivo non viene allenato, la mente del bambino acquisisce unicamente competenze razionali”. (Tiziana Bruno, “Buone pratiche didattiche nell’era digitale, a casa e a scuola).
È evidente che questo dato di fatto obbliga chi opera nel mondo della scuola a fare delle riflessioni importanti: cosa implica tutto ciò nei processi di insegnamento e di apprendimento?

domenica 12 ottobre 2014

Accoglienza


È prassi consolidata da molti anni, nelle scuole primarie del comprensivo che dirigo, svolgere in questo periodo la festa dell’accoglienza dei bambini e delle bambine di prima.
Ogni plesso, naturalmente, la interpreta in maniera diversa: a Via Bosio, ad esempio, c’è anche una festa dell’accoglienza dedicata ai genitori, a Selvaiezzi ci sono canzoni e filastrocche, a Villaggio Celdit volano gli aquiloni…
Ma c’è un aspetto che le accomuna tutte e che per me è quello più significativo. Si tratta del tutoraggio: nel corso della festa ciascun/a bambino/ bambina di prima viene affidato ad un tutor della classe quinta che avrà il compito, per tutto l’anno, di aiutarlo, di guidarlo, di prendersi cura di lui.
La relazione di tutoring ha una forte valenza educativa per i bambini coinvolti. I più piccoli trovano un aiuto, un sostegno, una guida nell'affrontare il nuovo ambiente di apprendimento costituito dalla scuola primaria che presenta nuove regole, un’organizzazione degli spazi e dei tempi diversa, dei compiti di apprendimento più complessi rispetto alla scuola dell’infanzia. Ma prendersi cura di qualcuno vuol dire maturare competenze comunicative, relazionali, affettive: il tutoraggio è perciò un importante occasione formativa offerta ai bambini più grandi.
La cura riveste comunque, a mio parere, un ruolo educativo fondamentale anche per altri motivi. “Non c’è amore, non c’è relazione così come non c’è socialità senza un prendersi cura dell’altro… Ma come prendersi cura di qualcuno se la società di oggi è dominata da egoismo, solipsismo/egotismo, competizione, scontro, mala-educazione, tutti vivendo solo nell’immediatezza e nell’istantaneità del qui e ora (perdendo quindi il senso del futuro) e non con gli altri ma contro gli altri?” (Lelio Demichelis)
La cura si fonde, poi, con un altro fondamentale valore: quello della responsabilità che non è solo rivolta verso gli altri ma anche verso l’ambiente, le prossime generazioni e il futuro.

Cura e responsabilità sono due valori etici fondamentali per la costruzione di una società equa e solidale. È perciò importante educare i nostri ragazzi alla loro conoscenza e al loro rispetto, anche con piccole / grandi cose come il tutoraggio.

mercoledì 8 ottobre 2014

Bocciature


Già in un intervento suquesto blog di qualche tempo fa avevo parlato dei risultati delle prove OCSE PISA e dell’interesse che suscita la loro analisi.
È stato pubblicato recentemente un nuovo approfondimento relativo alle bocciature
Dai dati emerge come il 17,1 % dei quindicenni italiani ha ripetuto almeno una classe nella sua carriera scolastica a fronte di una media OCSE pari al 12.4 %. La pratica della bocciatura appare perciò abbastanza rilevante nel nostro sistema scolastico: un ragazzo su sei è stato fermato almeno una volta.
L’esperienza dell’OCSE sembra dimostrare che la ripetenza non apporta evidenti benefici né agli studenti rimasti indietro né al sistema scolastico nel suo complesso. Gli studenti ripetenti sono i più a rischio di dispersione e di ulteriori permanenze e si inseriscono più tardi nel mondo del lavoro. Si tratta di una maniera non efficace e non efficiente di impiegare le risorse del sistema scolastico.  Molti paesi perciò che in passato avevano molto utilizzato il sistema della ripetenza hanno abbandonato tale politica in favore di un più intenso, precoce e sistematico supporto ai ragazzi ed alle ragazze in difficoltà.
Ma l’analisi dell’OCSE va un po’ più a fondo ed esamina il tasso di ripetenza all’interno della categoria degli studenti in condizione di svantaggio socio economico. I valori percentuali aumentano: Il 26% degli alunni svantaggiati italiani ha ripetuto almeno una volta (la media OCSE è invece del 20%). Più di uno ogni quattro!
Questo dato rappresenta un rilevante fattore di iniquità del sistema. I ragazzi svantaggiati con difficoltà di apprendimento non hanno le stesse opportunità di precoce accesso ad interventi di recupero e sostegno dei loro compagni più fortunati e perciò la ripetenza rappresenta l’unica alternativa per loro.
Detto in altri termini: non è tanto il basso livello di competenza quanto lo svantaggio socio – economico a costituire un potente fattore di rischio di ripetenza.
E inoltre la ripetenza spesso viene utilizzata non tanto come strumento per aiutare I ragazzi che “rimangono indietro” quanto come forma di punizione di comportamenti ritenuti non adeguati.
Allora, conclude lo studio dell’OCSE, la bocciatura non solo si rivela inefficace nel supportare i ragazzi con difficoltà, ma rinforza addirittura le ingiustizie socio – economiche. Le soluzioni più efficaci vanno cercate, piuttosto, in attività aggiuntive di insegnamento che utilizzino metodologie più personalizzate.

Una bella lezione da parte dello staff di OCSE PISA che, si badi bene, non è composto da ex sessantottini ma da seri studiosi che fondano le loro tesi su evidenze oggettive.

sabato 4 ottobre 2014

Giuseppe Mezzanotte e Trieste Del Grosso


Stamani ho avuto il piacere di accompagnare le ragazze e i ragazzi delle terze classi della Mezzanotte in visita ad un’importante mostra inaugurata presso Sede centrale della CariChieti in occasione della XIII edizione di "Invito a Palazzo", la manifestazione nazionale promossa dall’ABI-Associazione Bancaria Italiana.
La mostra, intitolata “Le opere della collezione Giuseppe Mezzanotte e la cultura artistica tra ‘800 e ’900 in Abruzzo", ricostruisce attraverso dipinti e sculture un tratto della cultura artistica abruzzese del periodo, ripercorrendo le frequentazioni del giovane Mezzanotte con gli esponenti del cenacolo dannunziano, che lo iniziarono alla pittura, una parentesi artistica all’interno del percorso letterario intrapreso in seguito.
Si tratta di una bella occasione per conoscere il contesto culturale all’interno del quale è maturata  l’opera di Mezzanotte: la mostra presenta infatti anche una selezione del carteggio dello scrittore con altri intellettuali del periodo.
Lo studio dell’opera di Giuseppe Mezzanotte è molto interessante per il ruolo da lui svolto nella cultura abruzzese a cavallo tra la fine '800 e i primi decenni del '900. È stato, tra l’altro, anche un uomo di scuola avendo diretto la scuola tecnica “G. Chiarini” dopo il suo ritorno a Chieti da Napoli.
Ma c’è soprattutto una cosa che vorrei segnalare della mostra, che rimarrà, assieme alle altre collezioni d’arte CariChieti, a disposizione dei futuri visitatori presso i locali della sede centrale in Via Colonnetta.
Si tratta della scultura in bronzo della testa di Giuseppe Mezzanotte che si trova esposta tra le altre opere della mostra. Essa riveste per me un significato particolare sia perché a scuola ne possediamo una copia realizzata sullo stesso calco e sia perché fu realizzata negli anni ’30 del secolo scorso dall’artista Trieste Del Grosso. Ma Trieste Del Grosso è anche il giovane ufficiale che alla fine del 1943 a 28 anni ha sacrificato la propria vita combattendo contro i nazisti nel tentativo di costruire anche nella nostra città un movimento partigiano.

Si tratta di un bellissimo esempio di amore per la libertà e sono veramente orgoglioso di avere in una delle scuole che dirigo una testimonianza della sua vita e delle sue opere. 

giovedì 2 ottobre 2014

Generazione “I like”


Sono stati pubblicati nei giorni scorsi i risultati dell’indagine che tutti gli anni svolge la Società Italiana di Pediatria su “Le abitudini e gli stili di vita degli adolescenti”.
L’indagine ha interessato un campione nazionale di 2107 ragazzi (1073 maschi – 1034 femmine) frequentanti la classe terza della secondaria di primo grado. Del campione facevano parte anche gli alunni di due classi del nostro istituto comprensivo per cui i dati sono per noi particolarmente significativi.
Cosa emerge da questa indagine?
Ormai quasi tutti i ragazzi di quest’età (81%) utilizzano Internet tutti i giorni. Il 93% lo utilizza attraverso lo smartphone che ha, di fatto, soppiantato il PC quale strumento di collegamento con il web. Cosa implica tutto ciò? “La quasi totalità degli adolescenti […] ha internet sempre a portata di mano, in qualunque momento della giornata. E internet, salvo qualche sporadico utilizzo, vuol dire essenzialmente social network.” Attraverso l’utilizzo massiccio del social network “… gli adolescenti, ma oggi sempre di più tantissimi preadolescenti alla soglia delle scuole medie, esercitano le loro sperimentazioni sociali, talvolta intrecciate talvolta no, con la vita reale. Con tutti i rischi che ciò  comporta.”
Ma se fino a qualche tempo fa social network voleva dire soprattutto Facebook, emerge oggi dall’indagine che sono utilizzati massicciamente anche altri strumenti, primo fra tutti WhatsApp, che non è solo un tool di messaggistica, ma può essere utilizzato a tutti gli effetti come un potente "social". E WhatsApp ha superato Facebook presso gli adolescenti. Il dato è molto preoccupante perché il controllo sulla messaggistica di WhatsApp, da parte dei genitori, è praticamente impossibile.
I comportamenti a rischio (contatti con sconosciuti, selfie provocanti, comunicazione di dati personali, ecc.) sono molto presenti e, inoltre, l’utilizzo pervasivo dello smartphone in tutte le ore del giorno ha delle conseguenze negative sulla salute.
“L’indagine ha indagato i rischi dell’abuso, mettendo a confronto le abitudini di coloro che frequentano più di tre social con quelle di coloro che non li frequentano o al massimo ne frequentano uno (normalmente Facebook o WhatsApp). E i risultati mostrano che i primi sono più inclini ad avere comportamenti a rischio, non solo sul solo web (per esempio postare una foto provocante), ma anche nella vita reale.” Questo dato, a mio parere, è dubbio perché potrebbe essere interpretato in maniera esattamente opposta: forse chi rientra per altre ragioni nelle categorie a rischio è portato ad un uso maggiore dei social network.
Nel report dell’indagine è citata un’affermazione dello psicoterapeuta Fulvio Scaparro: ““Ben venga un cauto utilizzo dei social. Ma non dobbiamo dimenticare che i ragazzi, a 13 anni, sono solo all’inizio della loro vita e benché grandi esperti di tecnologia sono ancora degli sprovveduti quanto a esperienza reale. Il punto è che hanno a disposizione strumenti potentissimi, attraverso i quali entrano in contatto con il mondo, ma con la modesta attrezzatura di vita di un tredicenne. Dietro la vetrina dei social possono far credere di essere ciò che non sono, possono compensare le fragilità con l’aggressività, atteggiarsi, distinguersi: il rapporto con se stessi può essere falsato perché sono proiettati non sulla vita reale ma su un palcoscenico virtuale costituito da migliaia di sconosciuti. Ma soprattutto quello che manca è il confronto con il fallimento. La vita si impara vivendo, esponendosi al fallimento, ecco perché dobbiamo spingere i nostri ragazzi a uscire, a fare sport, a confrontarsi con gli altri”.

In questo blog mi sono occupato di queste tematiche anche in altre occasioni. Mi sembra che l’importanza e l’urgenza della situazione che i nostri ragazzi stanno vivendo ci imponga di rafforzare il compito educativo della scuola che consiste nel fornire loro maggiori e più potenti strumenti critici. Forse in questi ultimi anni la corsa verso la dotazione tecnologica (reti, Lim, tablet, ecc.) ci ha fatto dimenticare e mettere da parte quello che è la vera missione della scuola. È il momento di riprenderci la pedagogia!

Televisioni

Un’interessante iniziativa della BBC.  A partire da settembre ha programmato una serie di iniziative dedicate ai bambini ed ai ragazzi delle scuole per avviarli allo studio dell’informatica e della programmazione. Si tratta di programmi e di giochi che possono costituire un valido contributo per il lavoro dei docenti nelle classi.  L’iniziativa si collega al progetto governativo di assegnare una forte rilevanza all’insegnamento, sin dai primi anni di scuola, all’insegnamento del linguaggio della programmazione.
Un paio di osservazioni.

La prima: la BBC è nata come servizio pubblico e non ha mai perso questa sua identità. La differenza con la Rai credo che sia molto rilevante, nonostante i progressi compiuti in questi ultimi anni da Raiscuola.


La seconda: mi ha molto colpito un intelligente (oggi si preferisce il termine “smart”…) utilizzo delle pagine web a supporto dell’iniziativa.  Ho molto apprezzato soprattutto la pagina dedicata all’attendibilità delle informazioni che si trovano sul web. Si tratta, a mio parere, di una delle questioni maggiormente rilevanti per gli educatori. Si afferma ormai che il web è la fonte primaria di conoscenze che abbiamo a disposizione.  Qualche descolarizzatore dell’ultima ora è arrivato a sostenere che di scuola non c’è più bisogno perché ormai le conoscenze si trovano tutte ed aggiornate in rete. Il problema, però, è che in rete si trova di tutto: informazioni corrette, informazioni errate, bufale, falsità, ecc. La sfida che deve affrontare la scuola, su questo terreno, è quella di insegnare l’utilizzo “critico” del web. Come si cercano le informazioni? Come si usa un motore di ricerca? Quali motori di ricerca è meglio utilizzare? Ma soprattutto: come valutare la qualità delle informazioni che troviamo? Come distinguere quelle attendibili e sicure da quelle false? Credo che insegnare queste competenze rappresenti uno dei compiti primari della scuola. In Gran Bretagna lo hanno già capito e si sono attrezzati. È il caso che cominciamo a farlo anche noi.